Le solite fake news

Nei giorni in cui uscivano le prime indiscrezioni sul programma di governo concordato tra M5S e Lega a proposito della Torino-Lione è stato un susegguirsi di allarmi lanciati e ripresi volentieri dai media.
Paolo Foietta, commissario di governo per la nuova linea ferroviaria, si era subito precipitato a dichiarare che l'eventuale recesso dagli accordi per costruire la Tav Torino-Lione "avrebbe effetti inediti e costi enormi di complessa quantificazione" e il solo "costo diretto complessivo da restituire a Ue e Francia risulterebbe senz'altro superiore a 2 miliardi" (ANSA, 18 Maggio 2018). C'è un solo termine adatto a descrivere tutto ciò: una bufala.

Bastino tre osservazioni, facili da dimostrare:

  • Non esiste alcun documento europeo sottoscritto dall’Italia che preveda penali di qualsiasi tipo in caso di ritiro dal progetto.
  • Gli accordi bilaterali tra Francia e Italia non prevedono alcuna clausola che accolli a una delle parti, in caso di recesso, forme di compensazione per lavori fatti dall’altra parte sul proprio territorio.
  • Il nostro codice civile prevede, in caso di appalti già aggiudicati che, ove il soggetto appaltante decida di annullarli, le imprese danneggiate hanno diritto a un risarcimento comprensivo della perdita subita e del mancato guadagno che ne sia conseguenza immediata (per un ammontare che, di regola, non supera il 10 per cento del valore dell’appalto). In ogni caso, non erano stati banditi né, tanto meno, aggiudicati appalti per opere relative alla costruzione del tunnel di base.

Oltre al citato Foietta si sono esibiti editorialisti, opinion makers, “esperti” di ogni ramo del sapere e sconclusionati ospiti fissi di talk shows televisivi alla ricerca di audience: non uno che si preoccupasse di fornire una pezza d'appoggio per supportare dichiarazioni ad effetto.
In questa campagna si è distinta, sin dal primo giorno, “Repubblica” in un esercizio di disinformazione da manuale.
Promotori (pubblici e privati) dell’opera, esponenti dell’establishment affaristico finanziario che la sostiene e dei grandi media ad esso collegati, tutti in coro a  denunciare che la rinuncia all’opera comporterebbe, per l’Italia, il pagamento di mirabolanti e insostenibili “penali”.
In realtà la rinuncia all’opera non comporterebbe alcuna penale, pronti a fare ammenda se qualcuno fosse in grado di dimostrare il contrario.

Egualmente infondata è l’affermazione, talora affiancata quella relativa alle penali, secondo cui l’eventuale  rinuncia  imporrebbe all’Italia la restituzione all’Unione europea dei contributi ricevuti per la realizzazione dell’opera. Infatti i finanziamenti europei sono erogati solo in base all’avanzamento dei lavori (e vengono persi in caso di mancato completamento nei termini prefissati), sì che la rinuncia di una delle parti interessate non comporterebbe alcun dovere di restituzione di contributi (mai ricevuti) bensì, semplicemente, il mancato versamento da parte dell’Europa dei contributi previsti. Si aggiunga che ad oggi i finanziamenti europei ipotizzati sono una minima parte del 40 per cento del valore del tunnel di base e che ulteriori (eventuali) stanziamenti dovranno essere decisi solo dopo la conclusione del settennato di programmazione in corso, cioè dopo il 2021 (e dopo le elezioni del Parlamento europeo nel 2019)